Cacciatori di nuvole.

Bisogna essere molto scaltri per cacciare le nuvole.
Si muovono svelte nel cielo e cambiano forma continuamente.
Sono grandissime eppure così sottili, fatte di acqua che vola,
di gocce legate da nulla ma così forte da tenerle insieme.
E’ una questione di tecnica il cacciare le nuvole.
L’occhio allenato non serve a niente,
la velocità è d’impiccio
ma basta chiudere gli occhi e dire:
amore tienila ferma
la prendo io.

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Ricomincio da me.

.

Spesso nella mia vita
ho fatto l’errore di lasciare che altri si appoggiassero a me
per ricavare dalla soddisfazione di aiutare
una ragione di vita.

Oggi ho deciso di non farlo più.

Tanto non ha senso.
Al massimo c’è riconoscenza, spessissimo neanche quella
perché superare un problema, in fondo, significa rinascere.
E quando rinasci non vuoi ricordare vite precedenti.
Quindi nemmeno chi ti ha aiutato.

Nascono dubbi sul perché e sul percome che nascondono
la voglia di chiudere un libro per scriverne un altro.

Desiderio, necessità legittima,
peccato per chi viene buttato via.

Spesso è toccato a me.

Ora facciamo così.

Io posso bastare a me stesso.
Certo trovo bello fare la strada in due.

Dividerò la strada solo con chi può farla da solo/a.

Cammineremo più spediti, meno fatica
e magari ci godremo il viaggio, finalmente.

Se non troverò nessuno pazienza.

Oggi ricomincio.

Da me.

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Progetti.

Sta nascendo un nuovo progetto.

Definitivo.

Non basta la curiosità a vivere.
Non basta la sensibilità, la disponibilità, l’amore.

In effetti non so cosa serva a vivere,
magari non lo sa nessuno.

Nasce, quindi un nuovo progetto.

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Angeli strani.

Vorrei essere un angelo per proteggere tutti quelli che amo.
Ma non sarei il solito angelo.
Alcolista, donnaiolo, curioso, musicista, eccessivo,
motociclista, passionale e vendicativo.
No, non sarei il solito angelo
ma il male avrebbe un problema di più.

Barba lunga, letto sempre sfatto ma caldo,
pantaloni corti anche con la neve,
incazzoso eppure pronto alle lacrime,
curioso ma meravigliato dal nulla,
sarei un angelo col chiodo,
Martin’s senza calzini,
amante del Martini,
agitato e senza oliva,
fratello dei rutti da Frascati o Pecorino,
commosso dai bambini che giocano a calcio,
dagli aquiloni che volano contro ogni logica,
dall’amore dovunque sia,
dovunque trovi casa,

al fianco di un vecchio che bussa al vetro della tua
auto per chiedere un bicchiere ed una sigaretta,
al fianco di un ragazzo che chiede rispetto,
un angelo che spacca i tavoli di un bar
perché un cazzo di localaro non ti paga una serata
dove hai dato tutto te stesso per due ore,

nella casa di chi torna stanco e trova solo tv,
nel cuore di chi smette di sognare e si arrende,
nella pancia di chi non ha niente,
nel sorriso scemo di chi ama,
di chi si guarda allo specchio,
si prova i calzoni e scopre che non gli entrano più,
troppi anni passati, troppe persone andate,
troppi sogni dimenticati.

Un angelo senza ali,
senza casa,
senza un cazzo di niente
ma con la voglia di amare degli angeli.

La persona sbagliata, quella che non capisce,
quella che che non ti riconosce
ma in fondo che importa,
un angelo con una Gibson imitazione
ma sono le dita che suonano per te
e la tua Epiphone lo sa,
un angelo che se tieni una nota è un bending,
che se distorce va bene uguale anche se non deve.

Un angelo che parla ai bambini con una Heineken in mano
e spiega che l’alcol è come un peso
e tu non vuoi fare una gara con un peso legato al piede, vero?

Gli angeli sono biondi e belli,
tu puzzi di sconfitta e Martini ma non molli
gli umani ti piacciono troppo
ed alcuni li ami,
che cazzo di angelo sei?
Uno col chiodo la pancia e la voglia disperata di non mollare mai.

Fanculo tenebre,
ecco un angelo che non ha paura
oppure è scemo.
Fai tu.
A me non non cambia niente.

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Still got the blues.

Used to be so easy to give my heart away
But I found out the hard way
There’s a price you have to pay
I found out that love was no friend of mine
I should have known time after time

So long, it was so long ago
But I’ve still got the blues for you

Used to be so easy to fall in love again
But I found out the hard way
It’s a road that leads to pain
I found that love was more than just a game
You’re playin’ to win
But you lose just the same

So long, it was so long ago
But I’ve still got the blues for you

So many years since I’ve seen your face
Here in my heart, there’s an empty space
Where you used to be

So long, it was so long ago
But I’ve still got the blues for you

Though the days come and go
There is one thing I know
I’ve still got the blues for you.

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Il cuore in freezer.

 

Anni fa una mia amica scrisse un post… raggelante.
Paragonò la sua ghiacciaia al posto dei ricordi, qualunque sia.
Rimasi colpito dal post, come al solito ben scritto nello stile essenziale
e cinico ma attaccato alla vita che era ed è suo.

Diceva di quella operazione di svecchiamento
che ogni tanto facciamo nel nostro congelatore.
Pisellini primavera rimasti dalla festa di compleanno
di 2 anni fa o, piuttosto, dell’insalata russa di capodanno
2010 o magari 2009, vatti a ricordare.

E li paragonava ai ricordi.

Così prendi la busta dei fagiolini di chissà quando
e la infili nella busta dei rifiuti organici,
così il ricordo di quando in riva al mare hai guardato
il cielo stellato e pensato che la tua vita cambiava
mentre lei con il naso in su diceva: non riesco mai a
vedere una stella cadente…

Ed il ricordo dell’imbarazzo sul divano prima del primo bacio
finisce insieme al cinghiale regalatoti dal cliente affezionato
ma che non sei mai riuscito a cucinare perché da solo
due chili di cinghiale non li cucini, sennò li butti.

Ma li butti ugualmente dopo chissà quanti anni.

Era meraviglioso osservare come il pragmatismo si
fondesse con la poesia ed il cinismo si trasformasse
in nostalgia e mancanza.
Come questo male di vivere fosse bisogno di vita,
come questo rifiuto di sentimento fosse esso stesso
sentimento forte, distacco pur essendo sostanza.

Questa negazione fosse richiesta.

Questo bisogno di vita diventasse necessità di pulizia e chiarezza,
l’apparente distanza bisogno di protezione.
Ho amato tutto questo al di là della mia stessa vita.
Oggi faccio mio tutto questo.
Quello che ho amato oggi capisco.
Fino in fondo e magari di più.

Ciao.

Hei?

Ciao…

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Peggio del dolore.

C’è solo una cosa peggio del dolore.

Non sentire più niente.
Guardo foto che dovrebbero significare tutto per me e non succede niente.
Nessuna emozione ne tuffo al cuore, niente.

Poi mi imbatto in te.
Mi vedo aprire il gas e affrontare la strada.
Tocco il freno dietro e sento il tuo sedere agitarsi.
Di là non viene nessuno, lascio e riapro.

Ti tengo stretta e ti butto giù con tutta la forza,
ci pieghiamo e superiamo la curva.
Non sarai un motard ma vai alla grande.

Ho voglia di vento tra i capelli.

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Senza fretta.

Si, la vita ci fa fare strane strade.

Una l’ho appena imboccata, una specie di svincolo che chissà dove porta.
Eppure, anche in questo caso, non posso fare a meno
di vedere come va a finire.

Nel frattempo rallento, affronto la curva,
scalo un paio di marce e accendo la radio.
Sintonizzo sul mio canale preferito e mi godo
le chiacchiere perché so che ci vorrà tempo.

Ma, in fondo, non ho fretta.

Ho tutta la vita che mi resta.

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Un sogno.

Ho fatto un sogno dolcissimo stanotte.

Voglio parlarne e non so con chi.
Ti baciavo sulle labbra senza fretta,
con la calma che solo l’amore inevitabile
porta nelle nostre vite.

Ti baciavo senza fretta, dicevo
e mi restava attaccato un sapore buono, di te.

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Adeguarsi.

Ci hanno insegnato che il dolore non va mostrato.
Ci hanno detto che il pianto, la commozione, il dubbio non sono da uomini.
Ci hanno convinto che i problemi sono nostri, sta a noi trovare le soluzioni.
Ci hanno abituato che siamo soli, gli altri non devono sapere o capire.

Ora ci chiedono di cambiare.

I problemi vano condivisi, devi mostrare emozioni, i dubbi sono intelligenza,
il dolore va mostrato.
A noi adeguarsi.
Ridiscutendo con noi stessi, cambiando modo di vivere, pensare, mettersi in relazione.

Tutto molto semplice se non fosse davvero difficile nella sostanza.

Certi meccanismi sono difficili da cambiare.
Puoi provare, ma non basta.
Devi riuscire.
Quindi devi fare l’impossibile ma sotto pressione, giudizio, attesa.
E provi a dividerti tra quello che hai imparato ad essere e quello che
dovresti essere. Si chiama schizofrenia.
Ma in fondo non frega niente a nessuno se non a te che,
notoriamente, non fai numero.
Se non cambi.
E tu provi.

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Aggiungere al nuovo.

Passo la vita a cercare di capire gli altri e a non capire me.

Niente di sconvolgente.

Diciamolo un disservizio.

Solo che non non ne posso più.
Vorrei stare rincantucciato in me stesso a cercare i miei di perché
anziché quelli degli altri.
Non voglio più sentire:
se non ci fossi stato tu, senza di te cosa avrei fatto,
non ti dimenticherò mai per quello che mi hai dato.

Vorrei fare i conti con quello che ti do e con quello che mi dai.

Detto così sembra egoismo.
Non lo è.
Chiamalo istinto (tardivo) di sopravvivenza.

Vorrei che dopo che quello che “non dimenticherò mai”
ci fosse: starò con te per sempre.

Se faccio per te qualcosa è perché ti amo.
Non ho uno studio da psic, non mi passa la ASL,
sto con te perché ti amo.

Se non puoi darmi una mano dammi te stessa.

In fondo non chiedo la luna.
Quella se ne sta li distante, diafana, immobile.

Come voi tutte.

 

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Alla deriva.

Come un veliero alla deriva
senza più meta, senza destinazione,
affronto le onde,
il vento,
le lunghe notti ed i giorni
che non hanno il senso dell’arrivo.

Ho perso la destinazione, perdendo te.
Nessun approdo,
nessun porto, nessun rifugio,
nessun nascondiglio
mi sarà possibile perché sono solo.

In balia di un vento capriccioso
che mi sbatte avanti,
lega per lega,
istante per istante,
senza la gioia del viaggio.

Solo mare, a perdita d’occhio.

Nessun porto dove trovarmi a casa per sempre.

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Lontani dall’uomo.

 

Le giornate che piove così, a dirotto intendo,
pensi che il cielo si sia messo a piangere.
Ma poi pensi che, in fondo, chissenefrega.
Guido piano piano che non c’è nessuna fretta e mi sento bene.
Distaccato da ogni cosa terrena, lontano dalle miserie,
dalle preoccupazioni piccole.
La strada si svolge e si infila sinuosa nel bosco,
tanti alberi che quasi non piove più.
Finestrino aperto, aria fresca, umida di pulito.
Curva dopo curva la mente si sgombra
ed il motore diventa silenzio.
Dal fossato scatta una volpe.
Mi fermo, accosto, si ferma anche lei.
Scendo lentissimo, accosciandomi davanti a lei.
Mi guarda, curiosa.
La guardo, felice.
Siamo due esseri zuppi di pioggia in fuga dall’uomo.
Lei guarda l’opposto del fosso, io guardo lei.
Nessuno che fugga.
Mi accendo una sigaretta, risalgo, lei si infila nel bosco.

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My guitar gently weeps.

Studiare per ore cose che ami da sempre dà una sensazione
di straniamento brechtiano.

Rimani lucido e distaccato anche se coinvolto in maniera totale.

Mi piace far parlare questa vecchia chitarra
da pochi soldi ma con una voce
che nessun’altra ha.

E’ facile tirare fuori miracoli da una Martin da 5,000€
diverso è suonare questo adorabile pezzo di legno.
Come fosse un amico
da parlarci davanti ad un bicchiere di vino
in una bettola di periferia
alla luce di una fioca lampadina gialla.

Il manico piegato al dodicesimo tasto,
frusta un po ma lo sappiamo entrambi,
la cassa non dà i bassi come dovrebbe forse è troppo chiara.

Ma ci conosciamo bene ed il manico è come me lo aspetto
perché sono 18 anni che lo stringo nella mano.

Così sa bene che stasera non si fa metal.

My guitar
( ed il mio cuore )
gently weeps.

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Musica musica…

Ho quasi finito i pezzi del mio cd.
Diciamo che un anno fa di questi tempi non pensavo nemmeno di riuscirci.
La cosa ha preso forma andando avanti giorno per giorno.
Un anno molto denso.
E’ vero, ho cambiato modo di scrivere e di suonare.
Le sonorità scure e dure non ci sono più.
Quasi del tutto acustico.
Ho quattro pezzi finiti ma ora non mi bastano più, ne vorrei altri due.

Dovrei essere contento, invece non me ne importa quasi niente.
Alla fine penso di aver capito che il problema sono io.
Ho fatto terra bruciata intorno a me per poter appartenere a qualcuno
e ho dimenticato che mi appartenevo già prima.
Ora non so chi sono.
Devo alzarmi e darmi da fare ma con l’handicap, come sempre mi succede.
Stò pensando che devo prendere anche questo come un’opportunità.
Organizzare i pensieri, le cose da fare, le persone che voglio intorno
anche se non ne sono rimaste tante, anzi, molto poche.

Volevo solo dimostrare che anche da solo posso suonare e scrivere,
alla faccia di chi non mi ha più voluto nel gruppo che per 33 anni è
stato la mia vita.
Diciamo che ci sono riuscito.
Ma non c’è soddisfazione, solo amarezza.
Ne è uscito uno strano concept sugli elementi.
I pezzi scritti sono:
il ruscello
il fiume
il mare
l’uomo

mancano il cielo, la terra.

Tutti strumentali e per uno che è un cantante ma non un musicista
non è stato poco.
Ma studiare mi è servito.
Sono sempre una pippa con la chitarra ma adesso posso affrontare
un concerto da solo senza farmi ridere dietro.
Forse sono solo molto critico nei miei riguardi ma questo
non lo posso cambiare, sono fatto così.

Vorrei presentare il cd in un posto piccolo ed accogliente, davanti ad amici.
Almeno la prima volta.
Niente locali grandi, dispersivi con gente che chiacchiera
o beve senza rispettare chi suona.
Vorrei il contatto diretto, parlare con le persone,
sentire i commenti, scherzare e passare un’ora con loro come fossimo a casa.
Dopo tre anni senza pubblico non mi va di affrontare subito la gente.
Anche perché le cose che scrivo sono profondamente diverse
dalle solite. Il Mago non c’è più.
Ora ci sono io, da solo.

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Un cuore troppo grande.

Hai un cuore troppo grande.

Se lo dice un amico o la tua donna è un bel complimento
anche se contiene un benevolo rimprovero.

Se lo dice un cardiologo  magari è un problema.

Non arriva sangue, troppo poco.
Non fare sforzi, smetti di lavorare, attento alle emozioni.

Ma io sono tutto fisico,
lavoro duro,
emozioni solo quelle forti.

La moto.

Cazzo non ci rinuncio.

La pesca sub.
No, quella come faccio, è la mia vita.

L’amore.

Il cuore in gola,
carezze e baci.

Basta.

Viene voglia di dire
Fanculo.

Con la maiuscola.

Non ho chiesto se posso continuare a suonare e cantare.

Ma tanto non smetto niente.

E se la morte mi vuole davvero sa dove trovarmi.
Io non scappo.
Non mi ricordo di averlo mai fatto
e certo non comincio adesso.

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Almost blue.

 

Ho imparato più dalle donne che dagli uomini.
Questo mi piace.
Mi piace la loro sensibilità, la disponibilità anche quando è condizionata.

Mi piace imparare, insegnare se posso.
Ma mi piace imparare.
E le donne insegnano, quelle giuste insegnano.

La loro testa va dove noi non possiamo,
sanno cose che noi non immaginiamo.

Adoro imparare dalle donne che amo.

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Scacco matto.

Stasera scrivo di te.
Nessuno mi obbliga a farlo,
tu mi hai dimenticato
io devo fare lo stesso.

Vorrei parlare di tradimento,
urla al cielo,
pugni stretti contro dio.
Ma non posso.

Non lo posso fare perché tu
non sei chi dicevi di essere
ed io potrei piangere solo per
quel te stesso che non c’è.

In realtà non so cosa sia peggio.
Scoprire che tu non sia niente
o pensare che tu non abbia voluto
dire chi sei davvero.

Avrei capito.
Non giustificato, non perdonato
ma avrei capito.
E ti sarei stato vicino.

Non ti avrei lasciato solo.
Come tu ora fai con me.
Perché non c’è solitudine più grande
della perdita dell’ingenuità.

Ho gran pena di te.
Ma so di non poterti aiutare.
Tu hai deciso che non posso.
Rispetto anche questo.

Addio.

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See me, feel me.

Ascoltami mentre non ho più niente da dire.
Prendimi le mani quando non ce la fanno a stringersi in preghiera.
Guardami piangere, per ogni cosa possa farmi male
oppure sorridere, oppure farmi sentire solo
come un pacco dimenticato in un taxi,
come un uomo disilluso,
come un giorno di pioggia.

Sentimi attraverso ogni cellula,
poro della pelle,
dita delle mani,
pensiero della testa,
battito del cuore.
Come un tocco di campana lontana,
eppure forte attraverso l’aria di un giorno di festa.

Immaginami.
Perché attraverso te riesco a superare il dolore,
il banale, il quotidiano che umilia,
il futuro che scappa,
il passato che preme
come un tappo di vino cattivo
eppure bevuto ogni sera.

Toccami.
Ogni centimetro del cuore
che non batte più.
Ogni millimetro di pelle che non sente più.
Ogni pensiero che non sa di niente.
Sono un cieco che attraverso te
vedeva il mondo sparire.

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La magia delle fate.

La forza di una bacchetta magica
si misura con l’immaginazione di chi la usa.

Quando la agiti e dici le parole magiche
i problemi spariscono ed ogni cosa va a posto.

Chiudi gli occhi,
sussurri un abracadabra
ed ecco che la luce si sprigiona e copre
ogni miseria.

Ecco,
la forza che è in te passa attraverso il pezzo di legno,
scorre dal cuore al braccio e poi esplode
colpendo il male, il brutto, l’assurdo.

Abracadabra.

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Il mio dolore.

Quando il dolore raggiunge la vetta del dolore fisico
capisco che è necessario staccare.

Quando il dolore fisico diventa lenimento di quello psicologico
capisco che è il momento di chiudermi.

A riccio.

Per avere la possibilità di capire cosa fa male.

Così male da pensare che bruciarsi,
rompersi una gamba,
soffrire
sia meglio che sopportare.

Adesso mi chiudo in me stesso.

Ho la mia musica, i miei libri,
la mia vita, in fondo.

Farò bastare quello.

E basterà.

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L’altra faccia della luna.

La gente pensa che tutte le persone tranquille siano da calpestare.

La tranquillità viene da dentro.
Dall’esperienza di ciò che hai passato di brutto e di bello,
dal ricordo dei tuoi errori,
dei tuoi entusiasmi,
delle tue rinunce e vittorie,
dai sentimenti che hai messo in gioco,
a disposizione di altri,
delle opportunità avute e rese.

Ma l’equivoco sta nel pensare che tranquillo sia sinonimo
di arrendevole o, peggio, di stupido.

C’è una parte nascosta nella personalità dei tranquilli.

Si impegnano solo per cose serie
e quando lo fanno si giocano tutto.
Fino alla fine, fino alle estreme conseguenze,
senza sconti.

Perché pensano che per quello ne vale la pena.
E fanno cose che sembrano al fuori della razionalità,
di quello che è sensato,
di ciò che si ritiene equilibrato.

Ma è solo un’altra faccia di chi
decide di agire solo se davvero ne vale la pena.

A quel punto chi sta di fronte ha la necessità di capire
che o non hai paura di morire
o è meglio girare le spalle
ed andarsene.

Il tranquillo non lo farà.

Lui va fino in fondo.

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Binario morto.

Come un binario morto non porti da nessuna parte.

Io scendo qui.

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Solitudine.


La solitudine fa paura.
A chi non ha niente da dirsi, da raccontarsi, da sognare.

La solitudine è una medicina per chi ha troppo da dirsi, da raccontarsi,
da sognare.

La solitudine è un’amica che ti capisce, che ti accarezza la testa,
che niente ti chiede.
La solitudine è ascoltare quello che chi ha fretta non può ascoltare.
La solitudine è pioggia, è mare, è neve.

La solitudine è essere vicini a quello che fa male,
assecondarlo senza paura e passare avanti.

La solitudine è gente che pensa di sapere tutto
mentre tu ti chiedi qualunque cosa,
è folla che passa sbattendo contro i tuoi gomiti senza guardare
nella rapidità di uno sguardo che non rimane.

La solitudine è ghiaccio in una estate di sole
che non lascia tracce se non dentro di te.

La solitudine è un frigo vuoto quando hai fame,
la luce spenta quando torni a casa,
il letto composto,
le camicie stese in fila ordinata,
le sere ad aspettare.

La solitudine è un’amica alla quale ci si può affidare.
Una sigaretta accesa, un bicchiere di vino,
un pensiero che nasce e muore
un attimo profondissimo di attenzione.

La solitudine.
La solitudine, compagna onnivora di me.

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Bisogni.

Ho bisogno di stare bene.

Ho bisogno di svegliarmi e trovarti nel letto.

Ho bisogno che la vita sia avventura ma che sia alla portata

dei miei sogni.

Ho bisogno di pensare che le cose hanno senso.

Ho bisogno di amare.

Ho bisogno di avere bisogno.

Di reale, di fantasia, di sogmo,

di qualcosa che sfugga allla mia ratio

di ogni cosa che riporta a te.

Ho bisogno.

Ma non è un problema.

Posso fare a meno di tutto.

Tranne che dei miei bisogni.

musica nella notte

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Ti ho.

Ti amo dal più profondo del cuore.

Il tuo nome, il tuo corpo,
la tua voglia di me,
la tua voglia di vivere,
il tuo pianto ed il tuo sorriso

sono la mia ragione di vita.

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In bianco e nero.

Il sesso non è così interessante come l’amore.
E’ un po come limitarsi a vedere il mondo in bianco e nero,
tinte forti,
rinunciando a vedere le sfumature dei grigi.

Ci sono 2 colori contro 256 sfumature quando ti va bene.

A me piacciono le sfumature,
credo siano quelle che danno ricchezza alle immagini
La profondità del grigio rende le ombre,
quello che vedi e non vedi, quello che immagini.

Preferisco avere di più
che accontentarmi del meno.

In questo sono molto,
molto,
fortunato.

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Limiti oggettivi.

Io non so se ce la faccio, sai.

Cerco di essere forte ma probabilmente non ci riesco
se cerco di proteggerti e non ci riesco
allora cosa vuoi che succeda?

Io non ho aspettative.

Ma tu non immagini prospettive,
pessimo modo per andare avanti.

Io credo che la vita insieme sia una specie di luna park.
Si va giu di botto e si risale con il cuore in gola.
Perché incontro solo gente disposta a stare a guardare gli altri sulla giostra?

Io ho il biglietto, comprato tanto tempo fa ed ho diritto
di salire sulla giostra.

Fatemi salire.

O almeno ditemi di andarmene.

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Voglia di vivere.

Ho condiviso la mia vita con chi aveva
voglia di amore.
Ho condiviso la mia vita
con chi aveva voglia di  morire.
Ho condiviso il  mio tempo con chi aveva
voglia di tranquillità.

Ora provo con te che hai voglia di vivere,
oltre ogni possibile dolore.

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Lecito, illecito, opportuno, necessario.

Ci sono cose che sei costretto a fare anche se fanno male
sia a te sia a chi ti vuole bene.

Ma qualche volta va a finire che devi decidere.
A me è successo spesso, scontentando tutti per lo più,
perché mi sono fatto influenzare
dalle persone che avevo accanto,
non considerando che l’unico modo giusto
per fare le cose è quello che mi è familiare,
quello che riconosco come mio,
quello che mi sembra corretto,
a me e non ad altri.

Questa volta faccio quello che è giusto.
Nel rispetto  di tutti.

Perché le persone della mia vita
sono tutte importanti,
da rispettare,
da tenere in conto,
da amare.

Lo dicevo che era un punto nodale,
che arrivava il momento in cui le cose
cambiavano anche se ancora non avevo idea come.

Ora lo so.
C’è qualcosa di nuovo nella mia vita.
Qualcosa di strano e delicato.
Spero di meritare tutto questo.
Io sono pronto.

Anche perché lo sapevo.
Lo sapevo.

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