Sorpresa…

Questa proprio non me l’aspettavo.

Dopo anni nei quali il blog non era più visibile, ecco che improvvisamente,
senza nessun avvertimento, ecco che torna visibile.
Che sarà successo?
Non lo so e non me ne importa un fico secco.

Sono stati e sono anni assurdi, da incubo, nei quali
abbiamo ficcato la testa in un tunnel stretto, buio e non ne siamo
usciti più.
e secondo me non ne usciremo.

Troppo profondi i cambiamenti,
troppo profondi i motivi,
troppa gente che non vede,
troppa che non vuole vedere.

Questa volta lottare non servirà.
ci vorrà molto di più.

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Dalla Terra alla Luna, 3 volte e più…

Abbiamo percorso insieme 1.300.000 km
3,5 volte la distanza Terra/Luna 🌚
32,5 volte il giro del mondo 🌍
302 volte un’avventura a Capo Nord ☃️

Siamo rimasti in panne su autostrade, statali, viottoli di campagna,
con ogni tempo,
di giorno e di notte. 🚙🚙🚙🌹

Abbiamo portato a spasso quasi tutte le persone più importanti della nostra vita
e ora ci lasciamo.
Grazie amico mio, ti voglio bene ♥️

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ReReRe Start

È una giornata di vento caldo, pensieri e voglia di spegnersi ma qualcosa ha deciso di restare acceso: il cervello.

Gli anni stan diventando troppi, l’energia sempre meno, la voglia di sereno a tratti intollerabile.

Charm ricomincia a scrivere.

Mi chiedo perché e so già la risposta. Troppe cose dentro che vogliono uscire, voglia di gratificazione, per essere apprezzati per quel che si è, non per quel che si sembra.

Insomma, ricomincia lei, ricomincio io.

Vediamo.

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La guerra dei poveri.

In questi giorni è scoppiata un’altra guerra, collaterale a quella vera, seria che si combatte negli ospedali.
E’ la solita guerra degli uguali, di quanti, cioè, se la prendono con quanti non hanno un lavoro certo, sicuro, continuativo accusandoli di essere “lavoratori in nero”.
Certo, si fanno distinguo, precisazioni, ma senza neanche troppi veli quel che si dice è: se lavori al nero sei uno schifoso che non paga le tasse e si mette i soldi al “pizzo”, si fa le ferie con quanto risparmia e magari si compra la macchina e approfitta del reddito di cittadinanza e del servizio sanitario nazionale.
Non so da cosa dipenda questo livore della sinistra “bene” contro chi non ha un lavoro fisso. Come se uno scegliesse di fare una vita di precariato e stenti per gioco, per fregarli tutti.
Questa gente non sa cosa significhi mettersi in fila alle 23 davanti ai mercati generali – pioggia, gelo o caldo – per arrivare a scaricare cassette di frutta per una dozzina di ore a 40€ a notte, facendo pure a pugni con un altro te stesso nordafricano che ha bisogno anche lui di quei soldi. Ma tu lo meni, perché servono a te.
Non hanno idea di cosa si provi a stare fuori da una rivendita di materiali edili ad aspettare il prossimo camion, ammassandosi tutti in silenzio, nella speranza dicano: tu e tu. E in quel tu ci sei anche te e oggi l’abbiamo svoltata.
Chissà se sta gente è andata di bar in bar a chiedere di lavorare, fosse pure dalle 5 alle 11 che, sai sono le ore più incasinate ma più di 30€ non ti posso dare, sono momenti difficili per tutti.
Non penso di averli incontrati al Monte di Pietà – Banco dei Pegni – in fila per impegnare la catenina, il braccialetto o chissà che altro o rinnovare la polizza per evitare che queste cose, ricordi perlopiù, possano essere vendute.
Insomma questa divisione spocchiosa mi ha stancato.
Vogliamo fare la guerra al lavoro nero?
Bene, allora prendiamocela con quel professionista che dall’alto della sua posizione ti chiede 350€ e non ti fa ricevuta.
Prendiamocela con chi ti costringe a lavorare al nero, a chi, cioè, ha permesso i falsi licenziamenti per fare in modo che gli stessi dipendenti – per poter lavorare, non per gioco o calcolo – aprissero la partita iva e diventassero “autonomi”.
Autonomi da cosa non si sa, visto che da un momento all’altro ti mettono in mezzo alla strada – come ora – perché tanto non sei mica un dipendente.
Prendiamocela con chi si approfitta dei raider – 3€ a consegna – tenendoli in uno stato di soggezione.
Prendiamocela con chi ha reso i contratti solo carta straccia, le assunzioni delle farse, a sei mesi, a un anno, a tempo indeterminato che dura due anni, a chi sfrutta i finanziamenti europei per assumere neo laureati come stagisti per buttarli via dopo un anno e stipendi da 500€ al mese.
Insomma basta!
Ma proprio basta.
Chi la vuole la guerra tra il posto fisso e chi ogni mattina si deve inventare il modo per arrivare al sabato?
Perché qui non si arriva nemmeno a sabato, non al 27.
Questa guerra, come tutte quelle tra poveri, fa comodo solo a chi povero non è.
Volete vedere la fine del lavoro nero per necessità?
Date lavoro, stabile, sicuro, anche a bassi stipendi ma sicuro.
Avete precarizzato tutto, avete disprezzato chi non trova lavoro solo perché non viene offerto, non c’è.
Questa crisi sanitaria acuirà le differenze, aumenterà la disperazione di chi quel fatidico 27 non lo può aspettare perché un lavoro sicuro, pagato il giusto non ce l’ha.
Continuare a prendersela con la parte debole del paese non è solo stupido, è pericoloso.
Se passasse il messaggio che precariato, lavoro nero per necessità sono colpe, gli assalti ai supermercati penso sarebbero il minimo, sindacale.

Una volta eravamo camerati, poi compagni, oggi cittadini ma alla fin fine c’è sempre chi sta sopra e chi sta sotto.

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Tutti a casa.

Siamo chiusi in casa da più di quindici giorni.

L’epidemia, ora pandemia, di Covid19 detto Corona Virus sta mettendo l’Europa – e l’occidente in genere – in ginocchio, dopo aver picchiato duro in Asia, Cina in particolare.  Le misure di prevenzioni consistono nell’elementare “non veniamo in contatto”, poco scientifico ma essenziale vista la mancanza di farmaci specifici e preso atto – da parte dell’OMS – che l’unica terapia possibile consiste nell’intubare il paziente e farlo respirare in coma farmacologico sperando si riprenda da se. Qualche volta funziona, spesso no. I morti li  porta via l’Esercito, nessuna funzione, vietati i parenti. Si muore soli, forse non accorgendosene neppure, trasgredendo l’ipotesi di Buzzati, si muore da soli, dopo aver capito. Qui non c’è il modo.

Quindi tutti a casa.
Isolati all’interno delle nostre famiglie, chi ce l’ha o della nostra solitudine, condivisa spesso, da single e da accasati. La terza via all’isolamento è diventata, finalmente, un pregio, una virtù invidiabile: saper stare soli senza sentirsi soli.

Così abbiamo applicato la misantropia per decreto. Ma la gente ha bisogno della gente. Quindi è più la vittoria della chiacchiera da balcone, del karaoke condominiale, del villaggio globale ma solo nel senso di aver reso le città simili ai paesi, comunità dove dall’altra parte del muro c’è il vicino, non un estraneo. Cantiamo l’inno alle 18,00, applaudiamo a mezzogiorno, facciamo la spesa tutti in fila da bravi cittadini modello. Io non ci credo. Penso che amare la gente non significhi non vederne i difetti o non capire chi sia anzi, per me è vero il contrario.

Tutta questa retorica sugli italiani brava gente con me non ha attaccato mai. Un conto è amare ( o apprezzare, avere a cuore ) “laggente” e magari impegnarsi per essa, un altro conto è non capire chi siamo. E siamo un paese di furbi. Di persone che cercano il cavillo, che si auto assolvono, che pensano che non riguardi loro. Di persone che per lavorare si fanno raccomandare, per andare in ospedale devi conoscere sennò sei stupido, di persone che la fila così la evito, che si va in tre al supermercato in barba ai decreti sanitari tanto poi prendiamo un carrello per ciascuno e fanculo chi si ammala, stessa ggente che intona fratelli d’Italia dal balcone e poi si fa prestare il cane per andare a fare due passi che a casa non ce la faccio, mica si può pretendere.  Certo,non siamo tutti uguali, certo la paura, il buon senso, l’Esercito ci tengono  a casa ma siamo stati noi a correre ai treni per tornare al paesello del sud o alla casa al mare in Versilia quando non si poteva diffondendo un contagio in gran parte evitabile. E sempre noi abbiamo assaltato i supermercati nonostante gli avvertimenti arrivati dappertutto che non ci sarebbero stati problemi.

Lo dico perché – se e quando tutto finirà – continuare a pensare di parlare solo a chi ha buon senso, responsabilità, senso civico e quant’altro, è una stupidaggine. Laggente esiste, ci dobbiamo fare i conti perché sta per arrivare una crisi economica che acuirà gli squilibri sociali, che porterà disperazione, mancanza di lavoro, mancanza di prospettiva. Anche qui si potranno fare due cose: pensare che laggente non esista oppure prenderne finalmente atto e iniziare a parlarci. In maniera semplice, diretta, senza i giri di parole ai quali siamo abituati. Interpretandone i bisogni veri, le necessità stringenti e il disagio quotidiano, senza massimi sistemi, senza retorica. Ma bisognerebbe amare, avere a cuore, sentire vicina questa gente così umana. Non sentirsene superiori e fregarsene.

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Ho capito.

Ho capito che non faccio più parte di questa sinistra.

Questa sinistra che si chiama PD non può essere casa mia. C’è un terribile equivoco di fondo e, tralasciando lo stile che non fa interesse, l’ha spiegato bene Emiliano Deiana in un post, pensa un po’, del 2010. ho scoperto che lo sanno tutti, su twitter, su tutti i social, solo io non avevo capito. Che idiota. Sono (siamo) dinosauri, estinti da chissà che meteorite (cito a braccio) macchiette penose ed un po’ rompicoglioni della sinistra del secolo scorso mentre il nuovo avanza e sbaraglia. Anche ora che non sbaraglia più nessuno e rischia l’indifferenza della storia esso sbaraglia.

Ho capito. Sono “capitato nel partito meno ideologico della storia” e vorrei starci io, pieno di ideologia, Marx e cazzate varie da ritrovamento archeologico. Ma si può essere più stupidi? Ma come ho fatto a non capire? Il nuovo avanza spedito ed io bastone tra le ruote volevo prendervi parte. Volevo continuare a parlare con la gente, a soffrire, lottare (che cazzo di parola antica!) con loro, a conoscere, dividere, superare i problemi con loro mentre invece ero schiavo e senza parole. addirittura volevo essere visibile sul territorio, in in un paese dove il nuovo fa le riunioni nelle migliori librerie e parla solo a chi già sa, a chi si divide sul non fare o aspettare per fare, parla a chi silura chi fa e si divide per l’ennesima volta in partiti di cui a stento si ricorda il nome.

Ma si può essere più scemi a voler essere utili allo “avvenire” sia pure senza sole che hai visto mai si dovesse tornare a chissà cosa. No, quello va avanti da solo, radioso e tranquillo continuando a fare distinguo, frazioni del nulla, reggenti del paese delle ombre, imperatori del poteva essere. Intanto i dinosauri si aggirano tra le rovine, in un Jurassic Park politico che passa dal non fare assolutamente nulla in attesa del miracolo ( la divisione per intervento divino delle forze del male ) al facciamo qualcosa o non resterà nulla.

Io sono sempre stato dalla parte di chi le cose le fa.
Poi, magari, sbaglia ma ci prova. Il ragazzo di Toscana è un presuntuoso, arrogante, egocentrico testa di cavolo, solo che le cose le ha fatte, per quanto possibile per le trappole, i veti, gli agguati e il fango che sono arrivati dalla sinistra. Si, da quella sinistra che oggi mi vede come un dinosauro. Solo che io giro per i quartieri, i centri sociali, la gente (di sinistra o meno) e vedo come stanno le cose, di cosa ha bisogno chi vive in situazioni di degrado ed abbandono, parlo con loro e sento come le ideologie siano davvero scomparse perché si ha bisogno di risposte. Si ha bisogno di sentire che a qualcuno freghi qualcosa che a te, a me, a chiunque sia impossibile vivere in posti dove per avere un appartamento devi rivolgerti alla destra sociale, che per avere la serenità di ritrovare il tuo negozio domani mattina devi abbassare la testa e girarti dall’altra parte, che convivere con altre etnie non sia facile, nonostante quello che ‘sti cazzo di sinistri ti raccontano in TV. Ci venissero loro a ‘sta casbah dove si mescolano vite ed odore di cipolla dalla mattina alla sera. Ma loro non ci vengono. Loro stanno sui social a distinguere, a discriminare, a pesare le percentuali.

Ho capito. Voglio essere un dinosauro.
Un maledetto cazzo di dinosauro. Voglio stare tra la gente, voglio sentire che dicono, cosa fanno, voglio avere ed essere parte. Mi hanno detto che questo lo fa la destra sociale.

Lo fa ANCHE la destra sociale,
quando i dinosauri erano i signori della terra lo facevamo noi.

Mi si dice anche che questo deve farlo il governo, non i rettiloni sul territorio. Certo, ma perché una cosa deve escludere l’altra? Chi lo dice? I guardiani del parco? Fate come volete. I dinosauri c’erano milioni di anni fa, l’uomo no. Non mi importa che fine faremo so che “noi ci saremo”. Citazione da tarda era Cretacea, circa 70mln di anni fa.

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La sinistra, la solidarietà e l’estinzione.

Questa storia parte da molto lontano. C’era una volta la sinistra, in Italia, nel mondo.  Poi arrivarono gli anni ’80, spazzando via la vita come impegno, la politica al centro di tutto e portandosi dietro la degenerazione della lotta armata che uccise sogni, speranze, illusioni. Ci si ritrovò tutti in discoteca, ammalati della febbre del sabato sera, felici per non doversi vergognare del nostro disimpegno e per buttare via eskimo, tolfa e polacchette. Arrivarono  il centro sinistra, il mito delle Lancia e i Verdi. Dalla politica si passò piano piano al sociale, all’impegno sui temi ecologisti prima, qualunque fossero poi. Cose che, essendo oggettive, potevano essere condivise da tutti ma che avevano in loro un germe cattivo: indicare il problema non presupponeva più indicarne la soluzione. Così la sinistra rincorse la lepre del consenso, mentre lo stile di vita Yuppie si imponeva. Rampanti, determinati, possibilmente sfacciati. Sfacciati al punto da corrompere, comprare chiunque pur di arrivare. Qui la sinistra aveva già perso e non lo sapeva. Smettere di indicare soluzioni come metodo politico uniformava e omogeneizzava le idee, i partiti, i movimenti. Poi, manipulite. Un ciclone che spazzò via quel poco che di politico c’era ancora nel paese ed il PCI, praticamente unico partito non coinvolto, a cambiare nome, cambiare volto per accaparrarsi voti al centro, iniziando ad inglobare in se chi di sinistra non era, fuoriusciti orfani DC e compagnia bella. Mancava un tassello per il disastro ed arrivò puntuale. Berlusconi, imprenditore fin troppo legato ai recenti padroni del vapore ormai fuori gioco dalla politica attiva, ma che rientreranno più o meno alla spicciolata nascosti in altre formazioni anche di sinistra, fonda un nuovo partito. Di centro, di destra? Diciamo trasversale, unendo tutti i partiti non di sinistra e governando con alterne vicende per quasi 20 anni. Un partito che ai temi sociali (e non più politici) affianca un nuovo concetto: fidatevi di me, io sono il partito. Il bisogno di nuovo, i facili slogan (1.000.000 di posti di lavoro, internet, inglese ecc) fanno presa cambiando per sempre il rapporto tra eletti ed elettori. La sinistra rincorre di nuovo. Cambia nomi, aggrega al centro, si sposta, cambia elettorato, perde di vista le origini, i motivi delle passate fortune e si frantuma in partiti, partitini, correnti di democristiana memoria fino a sostituire il citato cavaliere berlusconi e tornare al governo. Ma il danno è fatto. Il serbatoio naturale della sinistra, la gente che lavora, non la segue più, affascinata da nuove parole d’ordine, sirene di benessere, vaffanculi vari e pseudo partecipazione in rete a decisioni già prese, discussioni artificiose e streaming ammiccanti. Dal 1921 in poi la sinistra fa quello che gli viene meglio: dividersi. Il proletario non esiste più, si parla meglio a chi già sa, a chi vede e capisce. Ma sono sempre di meno, difensori di un fortino attaccato da tutti i lati da odio, risentimento contro il diverso, fomentati da arruffa popolo senza paura del burrone che incombe ed in gara tra loro per un posto al sole magari alle prossime elezioni in un crescendo di slogan, promesse non mantenibili per loro stessa ammissione e progetti fallimentari ma roboanti  che smuovono la piazza. Anche così non ci si organizza. Si litiga per dividersi una torta che si assottiglia trascurando le poche voci di buon senso e cercando, chi può, di salire sul carro dei vincitori. Non si torna all’antico. Non si torna a parlare li dove la sinistra non esiste più, dove c’è difficoltà, dove c’è ingiustizia, dove la destra estrema sta allargando i consensi. La sinistra ha sempre parlato all’anima di chi soffre e ha di meno. Ha dato speranza che la vita cambiasse, diventasse migliore, che noi stessi ed i nostri figli potessimo vivere in un mondo di giustizia e tolleranza. La sinistra è solidarietà. Oggi non più. Soppiantata da Casapound, M5Stelle, Lega. I peggiori? Non lo so. Ma è evidente che sanno come prendere la gente. Per contrastare tutto questo serve che la domanda di oggi: come tornare al governo? sia sostituita da un’altra: come si può migliorare la condizione di vita di tutti, nessuno escluso? Se non ci faremo questa domanda non c’è speranza. La gente, noi tutti, vogliamo una speranza. La sinistra non vuole più darcela. Forse è tardi perfino per provare ma almeno potremo dire: noi abbiamo provato.

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Un grande potere.

Un grande potere comporta grandi responsabilità.

Lo so, la frase in realtà non l’ha mai detta nessuno visto che sto citando Spiderman ma è difficile non pensare che sia profondamente vera. Certo giornalismo italiano,
evidentemente, non la conosce. La forza delle parole, il loro dosaggio, il loro significato si vanno sostituendo con la battuta, il sarcasmo facile, l’offesa gratuita portando un cambiamento nella gente, nei mass media, nella comunicazione tutta quanta intesa.

Frasi brevi, ad effetto, possibilmente caustiche che semplifichino concetti molto più complicati per ottenere un like, un seguace o un voto in più.
L’atteggiamento goliardico e facilone dei signori della penna ha dato licenza ad altri, meno colti, meno preparati e quindi molto più diretti ed offensivi, per la battuta da caserma, l’attacco personale non basato sui fatti ma sulla visibilità della vittima che diventa strumentale alla propria visibilità.

Questa guerra civile dialettica, scatenata a cuor leggero, non è al suo culmine e sfocerà, inevitabilmente, nello scontro fisico. Perché i beceri, quando finiranno gli insulti, attaccheranno fisicamente quelli che ne hanno  di più, di più raffinati e sottili e magari per loro incomprensibili. Contro la forza la ragion non vale.
Ce lo siamo dimenticato per un like, per un voto. Se non ci diamo una regolata ci ritroveremo ad avere a che fare di nuovo con tirapugni e hazet 36. Poi si potrà scrivere di guerriglia urbana, di necrologi, di vittime. Magari guardando da un’altra parte oppure pensando quanto si è colti, forbiti, sottili, ironici, intelligenti.

O guardando il contatore dei followers.

Prendiamo esempio da chi butta acqua sul fuoco.
Sottoscriviamo il decalogo di Parole Ostili. Nel web, nella società, nella vita.

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I sogni muoiono all’alba.

I sogni muoiono all’alba.

I nostri no davvero ma quelli degli elettori 5Stelle sono deceduti nel giro di poche ore dal voto. Non ricordo chi disse: se devi sparare una balla sparala grossa.
La Casaleggio & Co. l’ha sparata grossa ma così grossa che ora ci viene a dire che i cretini siamo noi. Noi nel senso di chi ci ha creduto, ovvio.

Nulla di quanto promesso è realizzabile, noi lo sapevamo ma vedere che lo sapevano anche loro mette a disagio. Facciamo un po’ d’ordine, per capire insieme.

  • uscita dal’euro – marcia indietro, non si esce, casomai si tratta;
  • vaccini no obbligatorietà – abbiamo scherzato, resta la legge attuale;
  • reddito di cittadinanza – ripensamento: non ha senso, c’è già il REI che funziona bene, aiuta chi perde e cerca lavoro e non chi sta a casa a non fare niente, quindi lo si potenzi;
  • trasparenza – la piattaforma Rousseau è quanto di più opaco esista in rete, basata su software obsoleto e permette di archiviare e tracciare voti e comportamenti individuali, controllata da una srl guidata da un privato che si fa mantenere da eletti in senato e parlamento scelti ed espressi per mezzo della piattaforma stessa e gestiti da privati.
    Si scopre che non esiste nemmeno uno statuto, per ammissione degli stessi 5Stelle.
  • democrazia diretta – finite le condivisioni e discussioni in streaming, non si sa chi scelga chi, con quale criterio, poteri monarchici al portavoce.
  • onestà – tralasciando i falsi bonifici, i rimborsi comparabili a qualunque altro eletto di qualsiasi lista, le espulsioni e dimissioni mancate, basterebbe guardare la fedina penale dell’arruffa popolo numero 1, condannato per vari reati e quindi non presentabile secondo logica 5Stelle, oppure controllare le situazioni giudiziarie di più di qualcuno all’interno dell’ex movimento per capire che qualcosa è andato storto.
  • Coerenza politica – non ci siamo neppure qui. Mai con il PD ed ora lo si accusa di non fare un governo di coalizione, mai con la Lega e si tratta e si prega, inoltre non si distingue tra sinistra e destra ed è evidente che ciò che puoi fare con l’una non puoi farlo con l’altra.

Si potrebbe continuare a citare macchine del fango, giornali e tv di regime ed altro ma saprebbe davvero troppo di vecchia repubblica. I tempi del vaffa sono finiti, ora si occupa. Perché la vera spiegazione di tutto questo è l’occupazione dello Stato.

La partita si gioca su chi va dove.
Un esempio per tutti: chi controllerà la Cassa Depositi e Prestiti?
C’è la sensazione che la logica che ha portato all’elezione dei questori delle Camere sia un modus operandi piuttosto che uno sgarbo. Con buona pace dei sogni, morti all’alba, a spoglio dei voti ancora in corso.

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Scusate ma non ho capito.

Premetto che non ho votato PD, non posso passare sopra il fatto che sia il punto di
arrivo di un processo di “decomunistizzazione” partito anni fa con lo spostamento
al centro di parte del Pci e continuato con la fine di esso e la nascita di alcune “Cose”
che ancora non trovano pace. Il famoso 40% renziano alle europee ricorda molto
quel risultato storico, sempre alle europee, dopo la morte di Berlinguer e letto in
maniera sbagliata dal partito comunista.

Quindi ho sempre votato a sinistra del Pci e ora del PD.
Detto questo non capisco alcune cose. Si prospetta, dopo diversi anni, di fare qualcosa
di sinistra nel partito che fu di Gramsci, Secchia ed altri.
Cioè dire no ad un governo che se non è di destra nei logo di partito lo è negli slogan,
nelle idee dei suoi quadri e soprattutto nelle scelte che, fino a prova contraria, fanno
la sola differenza possibile. La migrazione a destra dei voti PD è facile da leggere se non
chiuso in un ufficio o se fai politica da un terrazzo. Se invece accetti davvero di andare
in mezzo alla gente ti rendi conto subito che viene premiato chi promette e penalizzato
chi fa, a meno di non essere eletto con un sistema clientelare come quello che ha portato
la DC al governo, ce l’ha tenuta e la terrebbe ancora come testimoniano personaggi
ex balena bianca ed il loro eterno galleggiare altrimenti incomprensibile.

D’accordo, qualcuno è stato trombato stavolta, ma c’è voluto davvero tanto.
Insomma non c’è nessun motivo politico per il PD per fare un governo con 5Stelle.
Quindi se non è politico il motivo quale potrebbe essere?
Si dice da più parti che sarebbe il bene dell’Italia. Riflettiamo.
Il M5Stelle farebbe fare le riforme che il PD ha in mente? Credo di no.
Il M5Stelle darebbe spazio alle istanze ed alle richieste della parte sinistra del paese
e cioè permetterebbe lo Ius Soli, la tassazione progressiva, il fine vita, l’accoglienza
ai migranti? Io credo di no.

Il motivo per cui stare in un governo con M5Stelle potrebbe essere strategico:
stiamo qui e vediamo che succede, intanto Salvemini Matteo si fa un giretto.
Ma alle prossime elezioni chi pagherà lo scotto di aver fatto o tentato di fare?
Si potrebbe fare un’altra legge elettorale come sembra, ora, tutti vogliano?

Insomma, un po’ di opposizione non potrà che fare bene a questa “sinistra a
vocazione maggioritaria”, certo potrà far male solo a chi non  molla poltrone,
posizioni, potere e visibilità. Immaginate un governo M5Stelle che si prende la
RAI, La7 se l’è già presa, che mette le mani sui sottosegretariati, le
amministrazioni pubbliche, le fondazioni e chi più ne ha più ne metta che metta,
in definitiva, le mani sulla vera marmellata…

Penso che alcuni nel PD non potranno permetterlo. Meglio turarsi il naso.
E perdere voti, perché la base è tutta contro questa maledetta ipotesi.

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Politica e società.

Non sentivo parlare di politica da così tanto tempo che quando è successo mi sono meravigliato. E pensare che dovrebbe essere normale ma, a rifletterci bene, è iniziato tutto negli anni ’80. Disimpegno, voglia di smarcarsi da partecipazione e anni difficili, mal digeriti da tanti, subiti da altrettanti, hanno fatto dimenticare in fretta gli anni precedenti, scomodi e bollati come “anni di piombo” e togliamoceli dalle palle il più rapidamente possibile. L’eskimo, la kefia, abbandonati per la giacca e cravatta, i jeans riconvertiti alla moda di chi voleva passare i pomeriggi in discoteca e,oddio, non si parli mai più di manifestazioni, militanza di partito e cose così. Ecco la Lancia 164, il capello cotonato, le scarpe lucide. Sono passati anni e slogan hanno sostituito slogan, il sociale ha sostituito la politica, rendendo tutto sfumato, possibile, amichevole.

Essì, perché se ti chiedono se vuoi un mondo pulito o sporco, lavoro o disoccupazione, assistenza sociale o calci nei denti, pensione dignitosa o miseria voglio vedere chi, di destra, centro, sinistra, sopra sotto e mi rimuovo dirà che vuole per se un mondo zozzo, pensioni miserevoli e precariato a vita.
Altra roba indicare come risolvere problemi, come dare lavoro in concreto, quali sono gli atti che porteranno davvero alla soluzione dei problemi. Perché il sociale indica il problema e fin li siamo tutti d’accordo ma è la politica che indica e persegue le soluzioni.

Ce lo eravamo dimenticato.
Vabbé, come diceva un tale anni fa, dite qualcosa di sinistra, di destra, di quello che cavolo vi pare ma dite qualcosa, porco mondo. E finalmente ecco una donna, dignitosa, diretta, tignosa, preparata che parla di politica. E lo ammette pure, anzi, lo rivendica.
Viola Carofalo va in TV, evidente che non è abituata ma con fierezza e coraggio risponde alle domande dei giornalisti, regge botta a Porta a Porta sembrando un gigante in un mondo di nani. Perché parla la lingua di chi è giusto.
Solidarietà, uguaglianza, giustizia.
Gli slogan del PD, ricordate? aspettare gli ultimi…, l’odio della destra, la grettezza di chi al centro pensa ancora di approfittare della buonafede degli altri, sono lontani 1000 parsec. Idee chiare, se vogliamo semplici, testa alta, linguaggio chiaro, no sinistrese please.

E finalmente dopo secoli ecco che qualcuno dice qualcosa e di sinistra.

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La pazienza è democratica.

Caro signor Di Maio,
lei, come pure la stragrande maggioranza dei suoi colleghi onorevoli, in un orgasmo di promesse, vaticinii e congetture, l’ha sparata un po’ grossa.
Vada per la promessa affascinante dello stipendio perché esisto, (magari fosse possibile, abiterei in spiaggia…), vada per il non mi alleo con nessuno ( in Italia significa non governo…), vada per il lamentarsi di qualsiasi cosa e non fare praticamente nulla ma ci sono cose che nella nostra costituzione sono state scritte da gente che sapeva ciò che faceva, lo stesso non si può dire a cuor leggero ai giorni nostri.

Vi lamentate dei collegi uninominali, posso essere d’accordo, sono uno strumento di controllo dei partiti verso i propri eletti e come tali non mi piacciono, però le forme di latente (neanche tanto) ricatto o meglio imposizione che voi proponete ai vostri di eletti si differenziano per sottigliezze filosofiche spesso indistinguibili.

Così ora volete portare nella nostra costituzione l’articolo 160 della costituzione portoghese…
Vorrei invitarla a riflettere sul fatto che nella nostra costituzione quell’articolo non c’è per un motivo preciso, che somiglia molto alla vostra opposizione ai collegi uninominali:
permetterebbe ai partiti, in Italia, di controllare i propri eletti.

Perché gli eletti, nella teoria della politica e forse anche della ragione, non sono roba vostra. No.
Stanno li a rappresentare chi li elegge, quindi nel caso in cui la linea di un partito dovesse cambiare, si dovessero creare situazioni nelle quali si imponga un voto non in linea con le idee dichiarate o nel programma per il quali si è stati eletti, allora il pedone, anziché esser mangiato può promuoversi regina e cambiare parte della scacchiera.

Pensi che lo spirito di questa lettera è proprio impedire il controllo degli eletti.
Se ne è abusato?
Posso essere d’accordo.
Si abusa anche dell’alcol ma nessuno lo vieta e voi abusate della nostra pazienza da sempre. Voi, gentile signor Di Maio, perché potrete restituire parte dei soldi, potrete dire cose diverse, potrete non far capire chi siete e chi vi guida ma siete sempre casta.
Nella vita ognuno di noi si riserva di cambiare idea, dicono addirittura che solo i cretini non lo facciano.
No, i cretini e gli onorevoli che non possono cambiare idea o schieramento. La invito a nome personale a rispettare la libertà di ognuno, perfino di chi si odia.
E’ molto facile rispettare chi la pensa come te, per gli altri ci vuole allenamento, si chiama democrazia.
Cordialmente.

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Camerati che sbagliano.

Negli anni ’70 ed ’80 il sangue scorreva a fiumi.
Non c’era bisogno di immigrati, riuscivamo tranquillamente ad ammazzarci tra di noi
bianchi, europei puri. Si, insomma, il miscuglio di non si sa quante razze indoeuropee,
africane e asiatiche, si capisce, condite da dominazioni arabe e via dicendo.
Insomma, ci si sparava tra di noi, come dicevo, perché la lotta armata imperava e
metteva in difficoltà le forze politiche che, visto che chi sparava e metteva bombe era
sia di destra che di sinistra, (si, c’erano ancora sinistra e destra, fidatevi… ) non volevano
farsi nemici i simpatizzanti dell’una e dell’altra sponda e sfumavano i toni non capendo
cosa questa mancata condanna avrebbe portato:
la sensazione, a chi era giovane e stupido, che in fondo non fosse così sbagliato sparare
alle gambe di un giudice o fare strage nei treni, nello sparare ai poliziotti, però, tutti
d’accordo e via.

L’episodio dell’idiota L. T. da Macerata è un segnale che la politica non coglierà.
A sinistra ( si fa per dire, niente paura) si cavalcherà la tigre condannando e tuonando,
a destra ( qui sinceramente non ci metterei la mano sul fuoco che non sia vero…)
faranno equilibrismo lessicale per non togliersi voti, manca poco ecchecavolo!

In mezzo c’è questo prodotto della follia di questi anni, saluti fascisti tollerati dallo
Stato ( ma il reato di apologia è stato abolito?), marce di sedicenti patrioti, presepiari,
recuperatori dell’orgoglio italico e della razza bianca, che più bianca non si può.
Ma questi ci rubano il lavoro, ci scopano le donne, invadono le strade e le rendono
invivibili, pericolose. Essì, perché quando non c’erano, le donne andavano in giro tranquille e le stupravano noi, ecchecazzo, le puttane ed i tossici erano made in Italy
e la delinquenza era di casa nostra.
Vuoi mettere il degrado autoctono con quello importato?

Eppoi non si trovano i posti di lavoro, perché il figlio di mia cugina voleva andare a
raccogliere i pomodori in Campania e poi trasferirsi per le mele in trentino. Lo avrebbero
pagato 10 euro al giorno per 10/12 ore di lavoro ma, che ti devo dire, non si è trovato un
posto. Lo sfruttamento, però, quello siamo capaci di organizzarlo anche noi.
Lavoro nero per tutti, manodopera a basso costo e orari lunghi e paghe brevi.
Niente sindacati, niente protezioni e a valere per tutti, neri, bianchi, gialli e multi colori.

Dio non voglia che si torni a sparare di nuovo, che tutti noi non ci si alzi indignatissimi
contro la stupidità della violenza di chi si realizza, in una vita altrimenti inutile,
sparando a degli innocenti. La lotta armata è un’altra cosa.
Questa guerra tra poveri in nome di un tricolore di cui la gente non sa nemmeno
in quale ordine siano i colori, che sventola solo nelle partite di calcio, mi fa schifo.

Fa comodo,come al solito, solo a chi la cavalca per quei voti in più che significano
stipendi esagerati, pensioni d’oro e d’argento e vita comoda alle spalle degli scemi
che si sparano a vicenda.
L’unico politico rimasto in Italia è Francisco I, abita in Vaticano.
Detto da uno che non ha mai votato PCI perché troppo a destra fa ridere o piangere,
a seconda della situazione. Ormai grave.

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Il grande rottamaTTore.

Ci siamo.

Quando Renzi diceva di essere il rottamatore della vecchia gerarchia PD sono convinto
che anche tu hai pensato: era ora.

Solo che adesso non lo pensi più.
Sei solo preoccupato, dai rigurgiti della destra nazionalista e populista, dal qualunquismo
divenuto manifesto e metodo politico, dal razzismo non più latente, dalla precarietà assurta a principio industriale e di vita, dal tutti contro tutti dove perdiamo noi e vincono solo loro, incapaci e obiettivamente impossibilitati a fare alcunché che non sia straparlare e promettere quello che non si potrebbe e non si dovrebbe.

Ero molto preoccupato anche all’epoca delle maniche di camicia e delle Leopolde
sbarazzine e rinfrescanti di un giovanotto emergente che voleva farsi re.
Quello che Renzi non ci aveva detto e non ci dice nemmeno adesso è che voleva rottamare il PD, non la sua classe dirigente. L’avesse detto subito tutto sarebbe stato chiaro e tante
cose incomprensibili sarebbe state rese solari e conseguenziali.

Ora, dopo essere uscito dalla politica a seguito della sua follia di voler trasformare
un referendum in un plebiscito personale, essere rientrato per salvare l’Italia che
si salva da se, come sempre, eccolo, dicevo, a trasformare finalmente un partito
erede del PCI in una sua cosa. Via la minoranza cattiva, solo gli uomini del segretario
hanno spazio nelle liste, quei pochi che proprio non possiamo non inserire relegati
a peones nello scontro elettorale senza protezioni e magari li trombassero.

Ho votato PCI solo una volta nella vita, era appena morto Berlinguer, lo facemmo
tutti per rispetto. Sono molto più a sinistra e, quindi, non ho mai votato il PD.
Solo che ora non lo farà più nessuno.
A “sinistra” del PD ci sono nuove formazioni di fuoriusciti. Toglieranno voti.
A chissà cosa geograficamente parlando c’è il partito di re Grillo e toglierà voti.
A destra, centro, sopra sotto e mi rimuovo c’è Berlusconi, appena scongelato,
la presepiara nazional popolare e il finto razzista, finto incazzato, finto politico,
vero dritto leghista sciolto e toglieranno voti.

Renzi avrà il suo partito, magari andrà pure al governo ma sarà chiaro a chi lo
vorrà vedere che lo farà solo nel suo interesse, per la sua ambizione e voglia di
potere. Come tutti gli altri, menzionati o no.

La questione morale del citato Enrico Berlinguer si è risolta da sola.
Tutti uguali, nessun diverso.
Complimenti per la demolizione, notevole.

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Compagnia elettorale.

Allora, abbiamo inventato un nuovo modo di fare campagna elettorale, si chiama:
vediamo se riesci a dire una ca@@ata più grossa della mia.
Le regole sono semplici, che sia una cosa infattibile ma che alla gente piacerebbe,
che so tipo una chiacchiera da bar, una cosa che potrebbe venire in mente davanti ad
un amaro nelle settimane infinite e tristi delle pause del campionato di serie A.

Così sono fiorite cose tipo: aboliamo le tasse universitarie, aboliamo il redditometro e
gli studi di settore, no, aspetta che io la dico ancora più grossa, aboliamo le tasse!

Saranno due mesi duri, perché loro non lo sanno ma la stragrande maggioranza della gente sa benissimo che non una di queste proposte sarà attuata. Ci hanno fregato con il milione di posti di lavoro, il job act, la riforma delle pensioni e così via perché non c’è una lira, leggi euro, figuriamoci se si può tagliare qualcosa.

Però non vorrei essere troppo duro.
Qualcosa questi zozzoni l’hanno abolito davvero, il rispetto per chi lavora, tira avanti e non
rompe i coglioni, oltre all’articolo 18.
Infami, bugiardi, venditori di fumo.

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Ogni limite ha una pazienza.

Credo che neanche Totò abbia mai pensato che i limiti del surreale e dell’assurdo potessero essere scardinati dalla politica, quella vera, non quella di “vota Antonio”.
Legge elettorale a colpi di accordi tra terrorizzati dispersi di diaspore di maggioranze ed opposizioni esplose a seguito di errori madornali, pruriti da egemonia personale e sopravvalutazione di se stessi e contemporanea sottovalutazione degli altri.
Per uscire dalla metafora non fa più comodo a nessuno premiare il partito che vince perché i partiti grandi sono stati spezzettati in tante formazioni più piccine che potrebbero funzionare, elettoralmente, solo in due modi:
premio alla coalizione ( aborrito da molti);
alleanza elettorale e proporzionale.

In fondo si è scelta quest’ultima strada, con le opportune garanzie per chi dirige il vapore, vedi collegi uninominali. La minoranza insorge.
Insorge perché i “duri e puri” (sembra lo slogan di un sapone per piatti) non si alleano.
Ma non sono neppure radicati nel territorio come, in teoria, richiederebbe il collegio uninominale.
Ma la “minoranza” è radicata sul web, non nel territorio reale.
Ergo è un altro motivo politico e personale per insorgere, l’impossibilità, in pratica, di poter governare da soli come avrebbe permesso il premio al partito vincitore.
Non l’hanno votata ‘sta legge. Ora si arrangino.
Spesso la furbizia estrema sconfina di getto nella cecità assoluta. Questo sembra il caso.

Lotte tra elite, dei della politica, re e regine di una scacchiera che noi vediamo solo in parte mentre i pedoni vengono sacrificati allo sviluppo dei pezzi pesanti, come in una partita di Nimzowitch.

Non escludo che tra questi non possa esserci l’eletto, il puro ad oltranza che, levitando sulla zozzura dei palazzi splenda di luce propria ed illumini la scena.
E’ solo che non lo vedo. Si nasconde a noi e magari si perde tra le le trascrizioni dei discorsi dei peones della politica, archiviato in una seduta deserta mentre gli altri sono fuori a parlare dei casi loro o a farsi un aperitivo, che poi è uguale.
Il Kwisatz Haderach della politica italiana è sepolto dagli sbadigli, dagli intrallazzatori seriali oppure non esiste. In fondo non fa una gran differenza.

Credo ci sia più spazio per cultori della (propria) personalità, alcolisti del potere e puttane del probabilmente possibile.
Che palle.

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Riflessioni.

Non lo so se la gente, noi tutti, intendo, abbia fatto gli anticorpi
a tutto oppure se funzioni così da sempre. Venti di guerra ad oriente,
migrazioni bibliche, stupri, idiozie varie.
Forse ci sono sempre stati, anzi penso che negli ultimi anni possano essere diminuiti.

In fondo viviamo il periodo più lungo senza guerre in Europa,
– siamo molto egoisti noi europei, se non c’è da noi la guerra non c’e e basta –
migrazioni ci sono sempre state, basti pensare a quanti, di tutte le
nazionalità, si sono avventurati per mare fino alle Americhe, stupri e ruberie
varie, politica fetente pure.

Ma allora cosa fa la differenza?
Credo siano i tanto amati e schifati social.
Prima per scrivere una cazzata dovevi avere una tessera da giornalista o quanto
meno una rotativa ed amici disposti a diffondere il verbo. Ora basta un telefono
ed un abbonamento da euro 10 al mese.

Così abbiamo sostituito il feticismo degli oggetti con quello dei followers o amici
di video, dipende da dove diffondiamo le nostre stupidità.
Sono quasi quindici anni che sparo menate sul web, prima non ne avrei avuto la
possibilità. Non ho più un account Feisbuk, cancellato per quanto
sia possibile visto che è pure complicato eliminarlo, l’amico Zuckerberg ci
tiene a noi, non ci vuole veder sparire visto che portiamo svariati click sui
banner pubblicitari con ritorni dei quali, credo, sia inutile parlare.

Così ognuno di noi prende il telefono e spara le suddette cazzate.
Una donna violentata gode.
C’è da chiedersi come mai sorelle e mogli del suddetto non si cimentino
nell’operazione citata almeno una volta al mese. Forse un dubbio viene.
I negri puzzano, se li tieni tre mesi in un campo provvisorio senza dignità
e pudori credo che non olezzino nemmeno i bianchi, i gialli, i rosa e via
colorando.

Un rosario di cazzate che riportate dai media istituzionali fanno lustro,
danno notorietà e portano Like, visualizzazioni, gloria virtuale.
Qualcuno c’è diventato presidente degli USA.

Smettiamola.
In fretta.

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Tutto fa brodo.

In questa estate che sta finendo tra un attentato ed uno sbarco disperato,
tra una scossa di terremoto ed una carica della celere,
tra un tornado texano e la siccità europea,
tra la rassegnazione dei più ed il fatalismo dei soliti
ecco che tutto fa brodo per polemizzare, schierarsi contro non si sa cosa,
puntare l’indice e qualche volta il medio contro chiunque per un passaggio Tv,
dieci secondi di cazzate finto indignato o radical riflessivo
– che fa tanto lo voto perché è così serio… –
così eccoci nella crociata contro oppure pro l’abusivismo edilizio
che impera in Italia dagli anni ’60,
oppure pro o contro gli sgomberi di Virginia Raggi,
in attesa di riprendere l’attività politica, belli abbronzati dal sole sardo
o da quello della riviera francese o dalle spiagge caraibiche.

Ma si, ‘sti cavoli se qui la gente si è barcamenata tra le temperature da alto forno
e arrivare alla fine del mese, tra le file delle statali che portano al mare e i dieci
euro per la pizza, le passeggiate della sera nel centro città senza potersi
permettere un gelato o un cinema.

Eccoci, stiamo tornando, indignati, puntuali e puntuti, responsabili ed autorevoli,
“rappresentativi di quella parte d’Italia che non ci stà”, perché siamo qui noi
al servizio dello stato e di tutti voi.

Fottetevi.

Smettetela, di dividere la gente, di illuderla, di sfruttarla, vessarla, trattarla come
se fosse un gregge di pecore da tosare o una mandria di mucche da mungere.
Ma non smetterete mai, perché l’esercizio del potere e della forza è costante e nel
ricambio del mungitore o del tosatore nulla cambia per noi.

Sembrate sempre di più gli dei dell’Olimpo, impegnati nelle vostre celesti dispute,
lontani, lassù tra le nuvole, interessati a noi solo quando si tratta di usarci a
vostro vantaggio contro il dio della guerra o quello della sapienza o, ancora,
per strappare consenso.

Basta, per carità.

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Seppelliti dalla noia.

Quello che non è riuscita a fare l’immaginazione
– ricordate? doveva andare al potere… –
la noia l’ha fatto.

Certo, l’immaginazione è irrequieta, fresca e incosciente per definizione mentre la noia sa più di fermo immagine,  pazienza usata troppo e male, indecisione e smarrimento.
Mbé, dicevo, la noia è al potere.
Se non riescono a smuoverci le minacce di guerra trumpiane figuriamoci le uscite di Alfano, Renzi e quel giocherellone di Gentiloni che lo vedi subito quanta voglia abbia di ridere e scherzare.

Noia che colora tutto di grigio, di visto, di sentito, di stantio.
Nuove parole fantasiose per definire le strategie, non parliamo di idee per favore!, di questo o quel politico
– ecco che rispunta la fantasia, l’immaginazione… –
che cadono in questo mare limaccioso di disinteresse, di delusione, di rassegnazione.
Mare nel quale nuotano a loro agio demagoghi, poltronari doc e sottosegretari per diritto dinastico.

Lo schifo, la ripugnanza, la reazione violenta ed inconsulta del rivoluzionario della tazzina da caffè sono spariti.
Non è sopravvissuto nemmeno il politico da Corriere dello Sport, da TG delle 20, degli slogan idioti ma parenti scemi, appunto, delle parole d’ordine delle manifestazioni, sostituite pure loro dai concertoni, tavolette rotonde da water ottagonali, dall’alzata di spalle che spiana tutto e chissenefrega.

Così, mentre la noia li seppellisce ecco che, come in un “Walkin’ Dead” all’amatriciana, i morti viventi nell’indifferenza si scannano per finta, polemizzano per finta, lottano per finta. Wrestling di casa nostra, scazzottate da fiera mentre tutti si voltano dall’altra parte, annoiati.

In fondo non potevano volere di più.
Fanno ciò che vogliono, accapigliandosi per una sedia, un posto al sole, all’ombra dove volete voi ma che dia indietro qualcosa che: “ma lo sai quanto costa una campagna elettorale?”

E voi lo sapete che fatica fa vivere senza speranza?
Muoversi come bidimensionali in un mondo a tre dimensioni?
Campare con niente, senza neanche la speranza che cambi?

Maledetti.

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Non buttare via il pallone.

Quando eravamo piccoli e si giocava a pallone per la strada, spesso a fianco delle
enormi buche piene d’acqua che da noi si chiamano marane, non c’era proprio il
modo di calciare il pallone lontano per impedire che te lo togliessero.

Allora, per rendere più chiaro ed ultimativo il concetto, c’era una regola:
se butti fuori la palla per tre volte è rigore.
In maniera minacciosa suonava così:
ogni tre corner un rigore.
In questa regola si nascondeva il modo di vivere della borgata, della strada.
Non ti lamentare, non rompere i coglioni, non trovare scuse.
Tieni la palla tra i piedi ed impara a stare al mondo o subisci le conseguenze.

Poi puoi essere chi vuoi, Maradona ( che verrà anni dopo…) o Einstein ma
se vuoi essere dei nostri trova il modo per non arrenderti e gioca a costo di
sbagliare o di essere battuto.

Vendi cara la pelle e non cercare strade facili.
Questa regola mi si è cucita addosso.
Mi ha salvato letteralmente la vita in più di una circostanza ed altrettanto
spesso l’ho maledetta con tutte le mie forze perché non mi ha consentito di
“buttare fuori la palla” quando ti arrivano addosso decisi a stenderti e pensi
che non vale la pena di prendere una ginocchiata nel fianco solo perché poi la
vita tirerà dal dischetto.

Ed ora eccomi qui.
Stanco dopo i tempi supplementari, sudato, dolorante nei lividi e nelle ossa per
le botte prese ma orgoglioso stupidamente perché sta cazzo di palla l’ho sempre
giocata. Mai prese scorciatoie, nel bene e nel male.
Ora chiederanno la lista dei rigoristi.
Qualcuno si tirerà indietro, qualcuno guarderà da un’altra parte.
Ma io scemo, sono quello che non butta il pallone quindi prenderò la palla,
la accarezzerò guardando la porta, la poserò in terra facendola girare tra le mani
come a cercare il punto migliore, quello fortunato.
Eviterò fino all’ultimo di guardare il portiere, lo so che cercherà di innervosirmi.

Ma so già cosa devo fare.
Poca rincorsa, ora lo guarderò e lui non potrà non guardarmi, sceglierà un lato
ed io chiuderò o aprirò il piattone destro.
La palla partirà piano che non c’è nessuna fretta, tanto è l’ultimo e vedrò
il cuoio volare verso l’angolo opposto a quello dell’avversario.

Poi sarà quello che Dio vorrà.

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Guarda chi c’è…

Quasi due anni…
Vabbè non è che abbia smesso di scrivere, certo.
Però fa impressione pensare che per due anni non ho sentito il bisogno di scrivere su questo blog.

Sono successe tante cose, probabilmente non sono più lo stesso.
Dentro e fuori.
Ero così aperto al mondo ed oggi, pur senza essermi chiuso del tutto, sono molto più restio a relazionarmi.

Più prudente.
Più stanco.
Più vecchio.

Osti credo sia morto.
Non so chi abbia preso il suo posto.

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Luoghi comuni.

Ci sono frasi che diventano luoghi comuni e poi tormentoni al pari di certi motivetti facili che durano una sola estate e la marchiano come ‘quella della macarena’ e simili.
Ma nascondono complessità e avrebbero bisogno di riflessioni che, ho l’impressione, non siamo molto disposti a fare.
Dico disposti perché non voglio prendere in considerazione l’ipotesi più semplice: non ne siamo in grado.
Devi fare la tua vita.
Lo si dice a tutti, in ogni occasione come un paio di jeans che indossi tutto l’anno, faccia caldo o freddo non importa.
Te lo dicono se la tua compagna ti lascia per un altro o per morte prematura, te lo dicono quando sei ferito ed abbattuto perché qualcuno ti delude o quando un discorso dovrebbe prendere strade profonde e non ci si vuole avventurare in un trekking dell’anima che non si ha idea dove conduca e, comunque, non siamo attrezzati.
Ma tutto sembra ostinarsi a non farci fare ‘la nostra vita’,
gli affetti, le responsabilità perfino i nostri bisogni ed aspettative che pure sembrerebbero essere la molla per sganciarci dalla zavorra e, finalmente, vivere la nostra esistenza.
Il lavoro, le responsabilità, il tempo che manca sempre, le cose più importanti di altre, l’infinito elenco di ciò che non è possibile trascurare.
Il dubbio viene e deve venire.
Forse vivere la nostra vita significa farlo nonostante tutto, nonostante sia apparentemente impossibile.
Significa abbandonare l’idea che bisogni sganciarsi da tutto ed essere indipendenti, che gli altri, le cose che ci accadono siano l’ostacolo mentre in estrema sintesi sono proprio loro la nostra  vita.
Essere protetti dagli altri, isolarci,  progettare di partire per avventure esotiche è un po’ come metterci da soli in una gabbia, anche fosse dorata, per diventare come quegli scimpanzè che si dondolano su di un pneumatico mangiando banane convinti di essere padroni di se stessi.
Vivere con gli altri, relazionarci senza ansia, accettare i rischi e prendersi il piacere o le delusioni è vivere la nostra vita.
Una frase vuota che può essere riempita se da luogo comune diventa pratica.
Facile da dirsi.
Necessario ed utile a farsi.
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Piove.

Sta piovendo.
E’ la prima pioggia d’autunno e si fa sentire sui tetti
di questo paese di carta.

E’ notte da poco e dalle finestre aperte scorre aria pulita,
di queste montagne basse ma sole.

Non ho voglia di dormire ma neanche di fare,
mi godo il freddo novello, sapendo che tra poco morderà
la notte ed i pensieri notturni.

Pochi giorni d’autunno, pioggia nuova,
pensieri di sempre ad aspettare il freddo.

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Quanto tempo…

Mio dio quanto tempo è passato.

Da quando ho scritto per l’ultima volta sul mio blogghetto,
da quando chissà che cosa.

Da quando non ti vedo più, due anni tra poco.
Da quando non mi distruggo, forse un anno.
Da quando il sole è caldo, tre anni.
Da quando non scrivo più niente, quattro anni.
Da quando non suono dal vivo, sei anni, decisamente troppi.
Da quando il mio cuore batte piano piano, cinquantasette anni.
Da quando guardo il mondo e non lo capisco, dodici anni.
Da quando ho capito che amare e vivere sono due cose diverse
e forse incompatibili, un anno.

Da quando non reagisco in maniera violenta alle provocazioni della vita,
due anni e mezzo.
Da quando non fumo più, dieci mesi.
Da quando ho bisogno di amore, da sempre.
Da quando l’unico sfogo ai miei pensieri  è un professionista a pagamento.
Da quando ho perso la voglia di combattere.
Un anno.

Ma lunghissimo.

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Plettro in the rain.

Ho lasciato un plettro sul tavolo in balcone. .
Ci è piovuto su.
Gocce di acqua e ricordi che non riesco a bere.

 

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Senza senso.

Non so nemmeno quanto sia che non scrivo.

Troppe cose si sono succedute l’uno dietro l’altra,
troppe anche solo
per tenerne il conto e, poi, non voglio elencarle qui.

Una volta sapevo cosa dovesse essere un blog,
oggi non so nemmeno cosa dovrebbe essere un uomo,
figuriamoci un blog.

Il dolore, quello vero, è privato.
O, meglio, i motivi di questo dolore sono privati.
E così devono rimanere.
Specialmente se vedi che passa il tempo e non lo superi.

Ho avuto tempo, poco o tanto non lo so, diciamo insufficiente,
così ho scelto di rimanere solo.
La solitudine non mi fa paura,
peggio il rumore.

Allontanarsi dalle cose dopo aver permesso che ci si sporcasse
di vita come dell’erba di un prato bagnato
è lavare via tutto.
Ho bisogno di lavare via tutto.
Ogni cosa, quelle giuste e quelle sbagliate.

Tutto o non ne uscirò mai davvero.
Non pretendo che nessuno capisca quello che nemmeno io
capisco, sentire non è capire.

Ed io non so spiegare cosa sento,
non ne ho la forza.
Mi sembra di aver giocato con il fuoco lasciando che
distruggesse tutto, lasciandomi
con la sensazione di non aver capito
che non era un gioco.

Vorrei pagare solo io per questo
ma so che non è così
perché alcune cose si mettono a posto,
altre no.

Non mi sento in colpa, sono solo terribilmente triste
perché questa non si metterà mai a posto.

Non lo potrebbe fare nessuno,
figuriamoci un uomo che non sa nemmeno più
cosa significhi uomo.

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Message to god.

Ciao,

sappiamo tutti e due che non esisti ma se per caso tu esistessi
allora sei tu che mi hai voluto così.
Avrò il diritto di sapere perché.

Oggi mi farebbe comodo pensare che ci sei e quindi ti chiedo:

è davvero così che mi volevi?
A che servo?
A cosa ti sono utile?

C’è un cazzo di disegno, motivo, spiegazione, qualcosa che si avvicini
ad un senso, che abbia logica oppure sei andato a caso pure tu?

Sia chiaro che non ce l’ho con te,
non ce l’ho con nessuno ma a ‘sto punto
sarebbe interessante sapere.

Potevi evitare di darmi questa febbre di sapere,
esplorare, capire, chiedere, osservare, guardare gli altri e me stesso,
questa urgenza di essere,
questo maledetto bisogno di esprimersi,
questa mia capacità di rovinare tutto,
questo istinto al peggio,
all’eccessivo, al dolore.

Se non ti servivo così perché non hai ripiegato su di un pietoso
idiota tutto calcio e famiglia,
magari dedito alla casa, alle piccole cose
che danno senso alla vita,
al quotidiano,
alla televisione 50″, al telefono “next generation”?

E’ arrivato il momento che mi dici la verità
da uomo a figlio dell’uomo.

In alternativa ti dico che farò.

Continuo così.

Finché qualcuno non abbia la forza di fare quello che tu
dovresti fare.

Accettare le cose per quello che sono.

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Sempre connessi.

Sono passati più di dieci anni da quando
ho aperto questo blog.

Mentre cambiavo io è cambiato pure il web.
L’esigenza di raccontarsi di tante persone,
il boom di splinder,
il fermento che animava i bloggers,
la voglia di esserci si è trasferita altrove.
Il 90% dei blog registrati nel mondo è inattivo.

Si è passati dalla fuffa a Facebook.
Persino la fuffa era troppo impegnativa.
Meglio un “like”, veloce, poco compromettente,
generico e generalista.

Credo che tutta la società, perlomeno la parte
con la quale faccio i conti,
si sia come ripiegata.
Verrebbe da dire che non è così,
vista la babilonia dei social network
e la massa paurosa di foto personali,
video di qualunque cosa
dal matrimonio al compleanno,
alla cena tra ex clienti del vino e oli
di Porretta Terme,
la premiazione del saggio dei pupi
e l’aggressione al disabile.

Ma sta proprio qui il punto.
Nell’ansia di apparire
non siamo più nessuno.
Nemmeno quella tenera,insopportabile
fuffa non era così assurda come
questo continuo chiacchiericcio
su non si sa cosa.
Parliamo di cosa facciamo non di chi siamo
o cosa sentiamo.
Raccontiamo quello che ci succede,
matrimonio, cresima, cena tra amici
ma non diciamo cosa abbiamo provato,
cosa volevamo e cosa vorremmo.

Se succede qualcosa di brutto ecco
il commento virale, le foto linkate,
condivise, ma senza fermarsi,
senza pensare, senza opinioni nemmeno
quando ci si accalora pro o contro qualcosa
che rimane più facile riportare altre opinioni,
frasi fatte, scelte precotte.

Tra tablet, pc
– chi ancora cel’ha -,
telefonini di varia natura e specie
siamo connessi con tutto il resto
dell’universo mondo.

Aspettiamo di tornare a connetterci
con noi stessi,
ne abbiamo bisogno profondamente.

Nel frattempo siamo spiacenti,
l’utente non è raggiungibile.

 

 

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Il “nostro” spazio di Hilbert.

Sono profondamente affascinato dalle “implicazioni”
filosofiche della fisica quantistica anche se io
preferisco chiamarla “indeterministica”.

Pensare che la misura delle grandezze fisiche sia non influenzata
ma determinata dal fatto che noi decidiamo
di misurarle e che, per questo, le rendiamo possibili, è stupendo.

 Dà la sensazione stupida di poter rendere possibile
qualcosa di grande, rendere oggettivo
rispetto a noi qualcosa che per sua natura è soggettivo.

La vita non è altro che uno spazio “personale” di Hilbert,
uno spazio, cioè, delle potenzialità e delle possibilità.

Uno spazio dove tutto esiste già in potenza
e il nostro intervento rende “reale”
una delle tante possibilità che comunque esistono già
nella funzione d’onda che è la nostra vita.

Non sempre, anzi quasi mai, le misure che decidiamo di fare
ci piacciono ma è come se l’universo ci dicesse:
l’hai scelta tu.

Ed in fondo è vero.

Si dice che per fare una cosa semplice ne servano
100.000 complicate.
Dal guazzabuglio di dati ne prendiamo uno e gli diamo
la “possibilità” di esistere. spesso a caso, senza
troppo pensare alle implicazioni.

Non credo sia un caso che si definisca “esperienza”
il verificare sperimentalmente una ipotesi
tramite la misura delle grandezze in gioco.
Esperienza.
Un avvenimento che porta a fatti (dati)
che messi da parte e metabolizzati (studiati)
porta ad un bagaglio che rende
intellegibile la prossima “esperienza”.

Possibilità.
Ventaglio di fatti (dati)
che noi studiamo (metabolizziamo),
esaminiamo,
per non ripetere errori di misura
o per verificare come vere ed utili
altre possibilità.

L’universo somiglia sempre di più ad un grande pensiero
piuttosto che ad una grande macchina.
– James Jeans –

Un pensiero nel quale tutto esiste
ed il nostro agire rende reali
solo alcune delle possibilità.

Affascinante.

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Cacciatori di nuvole.

Bisogna essere molto scaltri per cacciare le nuvole.
Si muovono svelte nel cielo e cambiano forma continuamente.
Sono grandissime eppure così sottili, fatte di acqua che vola,
di gocce legate da nulla ma così forte da tenerle insieme.
E’ una questione di tecnica il cacciare le nuvole.
L’occhio allenato non serve a niente,
la velocità è d’impiccio
ma basta chiudere gli occhi e dire:
amore tienila ferma
la prendo io.

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